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Le 5 app Android che richiedono più permessi sensibili di tutte: una la usiamo ogni giorno

Almeno una di queste la utilizziamo tutti i giorni: le 5 app Android che richiedono più informazioni sensibili.

Nell’era del digitale, mettere al sicuro la privacy è cosa assai complessa; basti pensare a quanti permessi accettiamo senza nemmeno leggere il loro contenuto, visto che fare ciò richiederebbe tempo e voglia, cose che sembrano scarseggiare in questo periodo. Tuttavia, sempre nell’era del digitale, c’è chi questi permessi non solo li legge, ma li analizza.

Le app Android che richiedono più permessi
App e permessi: i rischi di violazione della nostra privacy – mamme.com

Ad essere protagonista di questa classifica è Cybernews, che ha voluto scovare affondo per capire non solo quali sono i rischi a cui siamo esposti ogni giorno, ma anche a quale app dovremmo fare più attenzione.

Da qui nasce anche una riflessione: visto che la maggior parte di app non può fare a meno dei permessi e delle funzioni che si attivano con essi, cosa potrebbe fare per rendere il tutto più sicuro, o quantomeno informare la platea dello scopo di tale funzione? Tutte domande complesse da rispondere, ma che meritano anch’esse attenzione. Ma andiamo per ordine.

Le app Android che registrano più dati sensibili dell’utente

Cybernews ha esaminato 50 delle app Android più popolari, scoprendo che molte richiedono permessi potenzialmente rischiosi. In testa alla classifica troviamo MyJio, un’app meno nota in Italia ma molto diffusa altrove, con la bellezza di 29 autorizzazioni richieste. Subito dopo c’è WhatsApp con 26 permessi ‘a rischio’, seguita da Truecaller con 24. Non sono da meno Google Messaggi, WhatsApp Business, Facebook e Instagram, tutte con richieste di permessi elevate.

Le app Android che registrano più dati sensibili
Le app social sono quelle che richiedono più permessi – mamme.com

Le autorizzazioni più comuni? L’invio di notifiche, concesso quasi senza pensarci ma che può nascondere insidie come pubblicità indesiderate o link di phishing. Seguono i permessi per salvare e leggere dati in memoria, utili per funzioni come il caricamento di foto su Instagram o il salvataggio di file su WhatsApp, ma che dovrebbero essere più trasparenti sugli scopi.

Non mancano poi le richieste di accesso alla fotocamera e al microfono, essenziali per social e messaggi vocali ma anche rischiose per la privacy. E infine, il tracciamento della posizione e l’accesso ai contatti, richiesti da oltre la metà delle app esaminate: dati preziosi per gli inserzionisti, ma al contempo molto invasivi per gli utenti.

Il punto critico è sempre la trasparenza: quante app sfruttano la nostra fretta per ottenere più dati del necessario? Come suggerisce Kasiliauskis, è tempo che le app chiariscano meglio l’uso dei nostri dati. Nel frattempo, vale la pena prestare attenzione a cosa stiamo concedendo: la nostra privacy merita attenzione.

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