Scattare foto ai bambini non rappresenta un reato, ma se queste vengono pubblicate le cose si complicano: ecco quando è possibile farlo.
Vi sarà capitato centinaia di migliaia di volte di aprire i vostri social network e trovare foto di bambini – molti influencer, uomini e donne poco importa, postano le foto dei loro figli e spesso utilizzano gli stessi per fare pubblicità a qualche marchio. Alla stessa maniera è molto probabile che anche voi abbiate regalato ai follower, nel vostro piccolo chiaro, qualche scatto dei vostri pargoli, magari con un’espressione buffa o semplicemente bellissimi.
Al di là dei rischi che si possono correre sul dark web, ovvero in quel pezzo di internet che sfugge ai controlli, pubblicare le fotografie di minori può costituire anche un reato. In base al decreto legislativo 196/2003, il cosiddetto Codice della privacy, infatti, si incorre nel reato di trattamento illecito di dati qualora entrambi i genitori di persone sotto i 14 anni non abbiano dato il consenso alla pubblicazione degli scatti.
Anche prima del 2003 era vietato, ma da allora ci sono anche delle punizioni piuttosto severe per chi lo fa: reclusione da sei mesi fino a tre anni e un risarcimento danni. Che può essere chiesto dai genitori e deve essere utilizzato esclusivamente per il bambino.
Un bambino che, accennavamo, diventa proprietario della sua immagine, per così dire, una volta che compie 14 anni. Secondo il Gdpr, ovvero il General data protection regulation che altro non è se non il regolamento europeo sulla privacy, gli adolescenti che abbiano compiuto 14 anni possono tranquillamente iscriversi ai social. E pubblicare foto loro senza l’autorizzazione di terzi a farlo.
Diverso è il caso dei giornalisti, che sono tenuti a seguire il regolamento del Testo unico dei giornalisti del 2016 nel quale è stata integrata la Carta di Treviso del 1990. Ovvero un documento deontologico scritto dall’Ordine nazionale dei giornalisti, la Federazione nazionale della stampa italiana e il Telefono azzurro.
In seguito, infatti, a diversi fatti di cronaca in cui dei minori sono stati oggetto di una sovraesposizione mediatica, si è deciso di mettere delle regole piuttosto stringenti per chi ha il dovere e il diritto di informare. L’obiettivo era quello di difendere l’identità, la personalità e i diritti dei minorenni vittime o colpevoli di reati, coinvolti in situazioni che potrebbero comprometterne lo sviluppo psichico, attraverso magari il pixellamento dei loro volti, ma anche il non riconoscimento.
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